Topinambur e dintorni

Ci siamo: è finita.
Ultimata la frequenza alle lezioni di Bio terapia Nutrizionale lo scorso giugno, non mi restava che la tesi di fine-corso.
Restava, appunto, visto che sabato 13 settembre sono andata a Roma per discutere il lavoro preparato in tanti mesi.

L’argomento? Il topinambur!, storia, vita, morte e miracoli d’un ortaggio favoloso dal sapore favoloso e dalle caratteristiche davvero uniche.

Ho deciso, quindi, di mettere a disposizione il materiale raccolto per la mia tesi, rendendolo più “abbordabile” e tralasciando tabelle e numeri.

Topinambur… la prima volta che ne ho sentito parlare è stato circa 25 anni fa, quando un amico mi chiese se conoscessi un alimento chiamato – appunto – “topinambur”: a mia volta, gli rigirai la questione, domandandogli se si trattasse di una qualche nuova specie di topi, magari di dimensioni maggiorate, scoperti in qualche recondito angolo del nostro pianeta.
Dopo una gran risata, Sergio mi spiegò che si trattava di un tubero, una sorta di patata che, una volta mangiata, non causava picchi glicemici né richieste di insulina che un pancreas sofferente non era in grado di soddisfare.
Sergio mi disse che i topinambur non si trovavano molto facilmente, dal momento che solo i primi-primissimi negozi con pretese “bio” riuscivano a procurarli.

Data la rarità del prodotto, non gli proposi, ovviamente, di invitarmi a pranzo per un assaggio e, nella mia fantasia, registrai il topinambur come un cibo magico, capace di offrire una soddisfazione amidoso-carboidratica al palato di una persona diabetica, senza per questo pugnalarne a morte il pancreas, come facevano – invece – altri tuberi, quali le patate.

Pur ricordando di tanto in tanto il nome dell’ortaggio in questione, non feci mai ricerche approfondite e, anche vedendolo sui banchi del fruttivendolo, non pensai mai di acquistarlo.

Il topinambur rimase – quindi – una sorta di “pensiero” astratto fino a qualche anno fa, quando iniziai a frequentare alcuni incontri che Tecla, di professione “educatrice alimentare”, tiene presso l‘agriturismo “Corte all’Olmo”, gestito da Vanda, in quel di Cadidavid, a Verona.
Mi innamorai – letteralmente – dei tuberi trifolati gustati quella sera e mi affrettai a colmare le lacune delle mie conoscenze teoriche sull’argomento.

STORIA DEL TOPINAMBUR – CARCIOFO DI GERUSALEMME: L’ORIGINE DEL NOME

Topinambur, Jerusalem Artichoke – Carciofo di Gerusalemme, Rapa Tedesca, Pera di Terra, Tarfufo di Canna, Patata Americana (da non confondere con la patata dolce o batata), Elianto tuberoso: sono solo alcuni dei nomi con cui questo tubero viene denominato.
Ma da dove arriva questa pianta e a chi – o a cosa – deve il suo nome?

Le teorie sono diverse e le storie un po’ confuse e misteriose, dato che risalgono a diversi secoli fa.
Nel XVI secolo, Samuel de Champlain – un esploratore francese – compì diversi viaggi nel Nuovo Mondo, esplorando la parte nord del continente americano.
A lui dobbiamo la fondazione della città di Québec (nel 1608), città che ancor oggi sorge in territorio canadese, sulle rive del fiume San Lorenzo. Samuel de Champlain scoprì anche un lago, situato in una zona al confine tra Canada e Stati Uniti (tra lo Stato di New York ed il Vermont), lago al quale diede il suo nome, Lac de Champlain appunto (1).
Nel corso dei suoi viaggi, quindi, Samuel de Champlain ebbe modo di gustare le radici di questa pianta, che cresceva spontanea nel continente americano, e lui stesso o uno dei suoi uomini la portò in Europa, dove non era conosciuta (2).

Qualcuno sostiene che il topinambur sia stato in realtà osservato e descritto per la prima volta dal poeta-scrittore, nonché esploratore, inglese Walter Raleigh (3), che lo scoprì nel 1585, nell’attuale Stato della Virginia.

Anche riguardo l’etimologia dei due nomi con cui è più comunemente noto – Jerusalem artichoke e Topinambur – ci sono pareri discordi e diverse leggende circolano sull’argomento.

Nel nome “Jerusalem artichoke – Carciofo di Gerusalemme” sono insiti due errori: l’elianto tuberoso, infatti, non ha nulla a che vedere con la città di Gerusalemme né con Cynara scolymus, il carciofo, appunto.
Secondo le fonti più accreditate, quindi, tale denominazione deve essere imputata alla storpiatura del nome italiano “girasole”, al cui genere appartiene anche il nostro topinambur (4), e al sapore leggermente “carciofoso”, che indusse gli Inglesi a chiamarlo “girasole-carciofo”, da cui derivò poi  “Jerusalem artichoke”!

Il nome “Topinambur” deriverebbe invece da un diverso tipo di errore.
Nel 1613, infatti, alcuni esploratori del Nuovo Mondo portarono a Parigi – come “curiosità” (no comment!) – diversi membri d’una Tribù che viveva in Brasile in epoca pre-coloniale, i Tupinambas, il cui nome fu francesizzato in Topinamboux.
Nello stesso periodo, fu introdotto in Francia il nostro tubero, che fu erroneamente associato a questa Tribù e denominato – appunto – “topinambour” (5).

LA PIANTA

Helianthus tuberosus appartiene alla grande famiglia delle Asteraceae (o Compositae), genere Helianthus, specie tuberosus.
Al genere Helianthus appartengono diverse piante che, come dice il nome (dal greco: helios – sole e anthos – fiore), tendono a tenere il capolino girato sempre verso il sole: il nome di specie, tuberosus, la fa riconoscere come pianta perenne, la cui sopravvivenza è affidata a un tubero; il girasole, invece, suo stretto parente, è una pianta annuale e per questo  è denominato Helianthus annuus.

È una pianta molto rustica, resistente, con grande facoltà riproduttiva e tendenza ad inselvatichire; quando introdotta in un ambiente favorevole, può diventare infestante.

Gli steli emergono dal terreno ad aprile, crescono per tutta l’estate e fioriscono verso la fine di settembre.
Il fusto può arrivare a 2.5  metri di altezza e le infiorescenze sono a capolino, presentandosi come delle grosse margherite con petali di colore giallo.
Sotto terra, verso la fine dell’estate, si sviluppano dei grossi tuberi di forma irregolare, talvolta bozzoluta e arrotondata, talvolta allungata: i tuberi arrotondati hanno in genere una buccia piuttosto rossastra, mentre quella degli esemplari di forma oblunga  è di solito giallastra.
La parte interna, invece, è sempre bianchissima.
L’elianto raggiunge il suo massimo sviluppo ad autunno inoltrato: ogni pianta, se isolata, può produrre anche 4 chilogrammi di tuberi.

Il tubero è una forma particolare di “deposito” dei vegetali, ma in questa pianta non c’è accumulo di amido, bensì di inulina, un carboidrato formato da una catena di molecole di fruttosio terminante con una di glucosio.

L’elianto ha una caratteristica particolare: cresce anche in ambienti inquinati, dai quali assorbe non solo le sostanze nutritizie necessarie per la sua crescita ma anche le sostanze tossiche, bonificando il terreno.

Un progetto in tal senso è stato proposto per risanare la Terra dei Fuochi: secondo Vito Pignatelli, infatti, vincitore dell’edizione 2014 del concorso “Dalla Natura alla Natura con Energia”, la coltivazione di particolari piante legnose a crescita rapida (salici, pioppi, robinie etc) e di vegetali erbacei – come il topinambur appunto – in grado di catturare gli inquinanti presenti nei terreni, potrebbe raggiungere il doppio obiettivo di “ripulire” la terra e di avere materia prima per gli impianti di produzione di biogas.

UTILIZZO – IN GENERALE

Introdotto in Europa nel XVII secolo, l’elianto ha inizialmente goduto d’un grande favore presso il popolo, data la velocità di crescita e le poche cure richieste per produrlo, ma il successivo arrivo della patata – sempre di origine americana – lo ha soppiantato e fatto cadere nel dimenticatoio.
Rispolverato in tempi di carestia, è stato venduto a prezzi esorbitanti, conquistando anche le mense dei più ricchi.
A periodi alterni, la pianta intera è stata utilizzata come foraggio per gli animali, mentre i tuberi sono stati usati come alimento per bovini, conigli e maiali. Nel corso dei decenni, l’elianto è stato utilizzato anche come fonte di etanolo (6).

Secondo alcuni Autori, durante i periodi di guerra, le sue foglie sarebbero anche state usate come succedaneo del tabacco.

UTILIZZO IN CUCINA

In Piemonte, il topinambur è considerato ingrediente essenziale in diversi piatti tipici e fa parte dell’assortimento di verdure usate per la bagna cauda.

Tenuto in grandissima considerazione alla Corte dei Savoia, i cuochi del Re lo sostituivano all’aglio quando preparavano la bagna cauda per le “madamin” di Palazzo, le nobildonne che non volevano avere l’alito puzzolente.

A Carignano (Torino), addirittura, in ottobre si tiene una sagra – Sagra del Ciapinabò, appunto – dedicata interamente a questo tubero, che viene preparato e servito in tutti i modi possibili: crudo, tagliato sottile e  condito con olio, trifolato, fritto, lessato e condito, con il riso, con la pasta…

ALTRI USI

In Germania, nel Baden-Wuerttemberg, il 90% della produzione locale di elianto viene utilizzato per produrre un liquore caratteristico, denominato “Topi” o “Topinambur”.

In Bulgaria, si prepara un tè mettendo in infusione foglie e fiori secchi di elianto: secondo la tradizione della Medicina Popolare, tale “pozione” è in grado non solo di prevenire ma anche di curare il diabete.
Secondo i dettami della Medicina Popolare, in questo stesso Paese, con le foglie e gli steli di topinambur seccati si prepara un bagno rilassante, utile per curare i dolori articolari, distendere e ringiovanire la pelle, rendere più forti i capelli e aumentare la propria vitalità… insomma, un vero “Elisir di Bellezza, Salute e Longevità”!

PROPRIETA’ DAL PUNTO DI VISTA MEDICO

Il topinambur – o elianto – pur noto come alimento galattogogo, rinfrescante/purgante, ricco di zuccheri non assorbiti dall’intestino e quindi ottimo per i diabetici, non è stato completamente studiato.

L’elianto è ricco di inulina – (C6H10O5)n – una fibra solubile indicata per l’alimentazione delle persone con problemi di glicemia.
Polimero di B-fruttosio, viene idrolizzata – e quindi digerita – solamente in presenza di un particolare enzima, la fruttossidasi o inulinasi, un enzima diffuso in diversi vegetali e microrganismi e nell’intestino degli Invertebrati.

Dal punto di vista nutrizionale, quindi, l’inulina è un glucoside che non può essere idrolizzato e assorbito nell’intestino tenue umano, ma che viene degradato dalla flora del colon; ha un valore energetico basso, circa 2 kcal/grammo. Indigeribile nel tenue, nel colon  viene, quindi, metabolizzato  in acido lattico e in acidi grassi a  catena corta.
Sembra comportarsi come un probiotico, stimolando lo sviluppo di Bifidobacterium spp ed inibendo quello di Clostridium perfringens.

Sono stati pubblicati diversi studi sulle caratteristiche dell’elianto di attraversare l’intestino senza essere – praticamente – digerito, senza elevare il glucosio e l’insulina sierici e di nutrire, in aggiunta, la flora “buona” del colon.

Altri studi pongono invece l’accento sui benefici che una dieta implementata con elianto – e quindi con l’inulina in esso presente –  comporta a livello intestinale.

Secondo diversi Autori – infatti – l’aggiunta di una piccola quantità (0.5%) di sciroppo ricavato da questo tubero nell’acqua degli abbeveratoi dei polli allevati in batteria migliorerebbe la qualità e la quantità della normale flora batterica intestinale, proteggendo gli animali dalle endotossine.
L’aggiunta verrebbe fatta per diminuire la carica batterica patogena endoluminale al momento dell’abbattimento degli animali.

Secondo altri Autori, invece, l’integrazione del pasto dei porcellini d’India con topinambur e con probiotici porterebbe – rispetto al gruppo di controllo – non solo a un incremento della normale flora batterica intestinale, ma anche a un miglioramento delle difese immunitarie, con incremento dei processi rigenerativi e antinfiammatori della mucosa.

La velocità del transito intestinale – fino alla diarrea – sembra essere fortemente condizionata dalla quantità di topinambur assunto, mentre dagli studi eseguiti in ambiente universitario emergono chiaramente sia la scarsa influenza di questo tubero sulle variazioni della glicemia e dell’insulinemia sia la sua azione positiva sulla normale flora batterica intestinale.

CONCLUSIONI

Ci sono alimenti – e piante! – che, nel corso dei secoli, hanno conosciuto periodi di grande fortuna, durante i quali alimentaristi, cuochi, giornalisti, nutrizionisti e scienziati se ne sono occupati esaltandone le proprietà, e periodi di oblio pressoché completo: l’elianto rientra in tale categoria.

Gli studi effettuati a livello internazionale hanno dimostrato, ormai senza ombra di dubbio, che l’elianto è bene tollerato dai diabetici, che facilita il transito intestinale e che, grazie al suo contenuto in inulina, se assunto in piccole dosi, favorisce l’equilibrio della normale flora batterica del colon.

Il topinambur può senz’altro essere inserito nella dieta come contorno/condimento nel regime alimentare di soggetti diabetici, regolandone la quantità in base alle funzioni intestinali degli interessati.

Dato il suo basso contenuto calorico e la minima capacità di stimolazione pancreatica, può essere utilizzato nella composizione dei pasti di persone sovrappeso/obese.

La mala-educazione alimentare è spesso causa di stipsi: l’aggiunta di topinambur al pasto di persone abituate a prendere lassativi potrebbe favorire l’aderenza delle stesse a un regime dietetico più sano, consentendo  una rieducazione sia riguardo l’assunzione di pasti bilanciati sia riguardo la funzionalità intestinale.

La trifolatura e, a maggior ragione, la frittura in olio extravergine di oliva attivano il fegato e incrementano l’attività della colecisti, mentre la cottura in acqua, come sempre, diluendo i succhi gastrici, rende anche questo ortaggio più difficile da digerire.

Un’ultima considerazione: il topinambur non contiene glutine.
La sua trasformazione in farina e la successiva introduzione nei pasti di bambini anche molto  piccoli potrebbe essere utile sia per la regolarizzazione del transito intestinale sia per favorire il ripristino della normale flora batterica dopo cure antibiotiche.

CURIOSITA’
1. Come ogni buon lago che si rispetti, anche il Lac de Champlain ospita il suo mostro acquatico.
I primi avvistamenti datano degli Anni Ottanta del XIX secolo, mentre, nel 1977, la signora Sandra Mansi riuscì addirittura a fotografarlo.
Le immagini disponibili mostrano una sorta di serpentone marino, di dimensioni gigantesche.
Ricorda un po’ le ricostruzioni di quello che doveva essere il diplodoco preistorico.
La creatura è stata chiamata “Champ” e sono addirittura state promulgate delle leggi locali in sua difesa!
2. Secondo i diari di viaggio dell’epoca, Samuel de Champlain scoprì questo particolare tubero a Cape Cod – ora nello Stato del Massachussetts – mentre stava setacciando la terra alla ricerca dell’oro.
3. Sir Walter Raleigh – a seguito dei suoi viaggi come esploratore –  introdusse in Gran Bretagna anche il tabacco.
Si parla di lui nella canzone “I’m so tired”  dei Beatles: “…although / I’m so tired / I’ll have another / cigarette / and curse / Sir Walter Raleigh /  he was such / a stupid git…”
I Beatles, in ultima analisi, lo ritengono responsabile della dipendenza dalle sigarette…
4. Sia Helianthus tuberosus sia Cynara scolymus appartengono alla famiglia delle Asteraceae – o Compositae – ma, mentre il carciofo appartiene al genere Cynara, il topinambur appartiene al genere Helianthus, come il girasole.
Pare che tutte le Asteraceae traggano origine da un unico progenitore comune, vissuto in Sudamerica nell’Oleocene.
5. La presenza in Francia dei Topinamboux (indigeni brasiliani) e l’introduzione dell’esotica pianta nello stesso periodo indusse Carl Linnaeus a credere (a torto) che il topinambur fosse di origine sudamericana.
6. L’estrazione dell’etanolo avviene per fermentazione e successiva  distillazione del sugo grezzo ricavato dalla pianta in toto.

Fiori di topinambur

Foto di Skyler Ewing in Pexels

A POSTERIORI – revisione del 2020:

  • nel luglio 2015, la Scuola di Bio Terapia Nutrizionale di Roma ha pubblicato sul proprio sito il mio lavoro sul topinambur, l’elaborato qui riassunto e presentato quale tesi di fine-corso due anni prima
  • nel 2015, è stata pubblicata un’edizione “aggiornata e arricchita” del libro “Il ruolo nutrizionale e terapeutico degli alimenti” (International Printing Editore), scritto dal Dottor Fausto Aufiero e dallo Chef Michele Pentassuglia, della Scuola di Bio Terapia Nutrizionale di Roma. Alla voce “Topinambur” sono disponibili anche le ricette da me proposte nel mio elaborato!

BIBLIOGRAFIA:
-Godeau. Éric. Le tabac en France de 1940 à nos jours: Histoire d’un marché. Paris, Presse de l’Université Paris-Sorbonne, 2008
-Nicola Silvana, Topinambur – un ortaggio da scoprire, Quaderni della Regione Piemonte – Agricoltura; n.30, gennaio 2002
-Adrian J, Potus J, Frangne R, Dizionario degli alimenti. II edizione, giugno 2009. Ed. Tecniche Nuove
http://charodeizi-topinambur.com/it/pratiche-usuali/spa.html
-Rumessen JJ, Bodé S. Hamberg O, Gudmand-H?yer E, Fructans of Jerusalem artichokes: intestinal transport, absorption, fermentation, and influence on blood glucose, insulin and C-peptide response in healthy subjects. Am J Clin Nutr 1990;52:675-81
-Kleessens B, Elsaved NA, Loehren U, Schroedl W, Krueger M, Jerusalen artichokes stimulate growth of broiler chicken and protect them agaisnt endotoxins and potential cecal pathogens. Am J Clin Nutr 1990; Oct:52(4):674-81
-Valdovska A, Jemelianos A, Pilmane M, Zitare I, Konosonoka IH, Lazdins M.   Alternative for improving gut microbiota: use of Jerusalem artichoke and probiotic in diet of weaned piglets. Pol J Vet Sci 2014;17(1):61-9

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Barbara

    wow, articolo super interessante e super dettagliato. Brava Teresa!!

    1. Teresa

      Grazie, Barbara!
      confesso: svolgendo le ricerche, mi sono proprio divertita! spero che questo lavoro sia utile anche ad altri.
      …e se per caso ti vien voglia di cucinare un piattone di topinambur e di fotografarlo….

Lascia un commento