-Sì, dottoressa, questa è la mia storia, una storia che definirei di “stra-ordinaria esclusione”… Non me la sono mai tolta dalla testa, non me la sono mai tolta dal cuore. Pesa ancora come un macigno: se ci penso, mi sento ancora malissimo…
Rita ha gli occhi lucidi: smette di parlare, mi guarda e, quasi leggendomi nel pensiero, mormora:
-La scriva, scriva pure la mia storia. Di questi tempi, potrebbe ricordare qualcosa a qualcuno. Solo… mi renda non-riconoscibile, per favore. Cambi i nomi delle persone e non metta quello dei paesi…
Osservo Rita per un momento: capelli corti, ben pettinati, pelle liscia, un filo di rossetto e un accenno di fard sugli zigomi, e due lacrime che scivolano via veloci.
Ha un’età indefinibile, ma decisamente inferiore rispetto agli undici lustri che la tessera sanitaria denuncia e, in questo momento, assomiglia davvero a una bimba delusa e ferita.
Ottenuto il permesso di scrivere la sua storia, mi ritiro in un angolo e le cedo la parola.
-Siamo all’inizio degli Anni Settanta, quando ancora festeggiavamo il 4 Novembre. A casa nostra, il 4 Novembre era una Festa importante, una festa con la “effe” maiuscola. I miei Nonni e i miei Prozii avevano combattuto durante la Grande Guerra, qualcuno non era più tornato a casa, qualcuno era stato ferito in maniera non grave, ma altri, proprio come Nonno Beppe, avevano riportato delle ferite invisibili, ma inguaribili, che avevano segnato per sempre il loro cuore e minato la loro serenità…
Già, penso io, la guerra è così: vincitori o vinti, tutti si resta “segnati”. Per sempre.
-A casa nostra, durante la prima settimana di novembre, esponevamo la Bandiera Italiana. Ho mantenuto la tradizione: io ancora la espongo, ogni anno…
Comunque… quell’anno, il Sindaco aveva deciso che i festeggiamenti per le Forze Armate e per la fine della Grande Guerra erano un’occasione per instillare nei Bambini un po’ di “sano amor patrio” e aveva pensato di coinvolgere le scuole nella preparazione delle diverse cerimonie.
Fin dai primi giorni di ottobre, poco dopo l’inizio dell’anno scolastico (allora le scuole aprivano i battenti in ottobre, non in settembre), le Maestre ci avevano spiegato la Grande Novità: il 4 Novembre ci sarebbe stata una grande festa in piazza, con un Rappresentante del Comune e noi Bambini avremmo cantato in coro l’Inno di Mameli!
Due volte la settimana, noi più grandicelli venivamo accompagnati in palestra e la Maestra Pinuccia ci “istruiva nell’arte del canto”, tanto per dirla con le sue parole.
Durante queste lezioni, ero davvero felice: pensavo al Nonno Beppe, mancato da qualche anno, ed ero convinta che, dal Cielo, sarebbe stato orgoglioso della sua nipotina…
Tra noi Bambini, poi, l’eccitazione raggiunse il culmine quando si sparse la voce che, mentre noi cantavamo con Pinuccia, le altre Maestre preparavano per noi le “coccarde”!
Coccarda. Una parola nuova di cui cercare il significato. Una parola nuova da imparare.
Carta crespa tricolore, un nastrino bianco-rosso-verde, due punti di cucitrice e una spilletta da balia per “puntare” il tutto sul cappotto, “all’altezza del cuore”. Una cosa semplicissima, ma per noi era tutto speciale, già il nome aveva un sapore speciale: un nome, fino a quel momento sconosciuto per la maggior parte di noi… speciale? Specialissimo!
Rita sorride, persa in un ricordo che, per quanto lontano, per lei è ancora vivo, presente. Poi, di colpo, i suoi occhi diventano più grandi, si riempiono di lacrime silenziose e lei prosegue nel suo racconto.
-Un giorno, Giorgio, uno dei ragazzi di quinta, bussò alla porta della nostra classe e disse al Maestro Toni di portarci in palestra. Mentre mettevamo da parte il Sussidiario e i quaderni, entrò in classe il Bidello Arturo, che sussurrò qualcosa al Maestro…
Il Maestro Toni chiese un momento di attenzione e ci spiegò che, essendo la nostra scuola frequentata sia dai bambini del Borgo Grosso sia dai bambini del Paese, solamente i bambini del Borgo Grosso avrebbero partecipato alla Festa e cantato l’Inno…
Nulla di personale: una semplice questione di “confini”. Di Comune.
Rimasi lì, inebetita, con il Sussidiario in una mano e la cartella nell’altra: io, IO, abitavo a dieci metri (dico: DIECI METRI) dal confine!
Fummo esclusi in tre: io, l’Antonella, che, essendo a casa con la febbre, fu avvertita il giorno dopo e non la prese tanto bene, e Giacomo, che odiava cantare e accolse la notizia con un gesto di gioia.
I miei parenti avevano combattuto per l’Unità d’Italia, alcuni di loro avevano dato la loro stessa vita perché Trento e Trieste tornassero ad essere italiane e noi… noi venivamo esclusi dai festeggiamenti perché, pur frequentando la scuola del Borgo, avevano “la residenza” al Paese, dieci metri più avanti…
Guardando i miei privilegiati compagni uscire dall’aula, appesi la cartella al gancio e rimisi il Sussidiario sul banco: il Maestro stava infatti dicendo che i bambini che non avrebbero cantato potevano restare in classe e rileggere il testo sulle Guerre Puniche.
L’idea di protestare non mi sfiorò minimamente: avevo nove anni e, negli Anni Settanta, i Bambini di Nove Anni obbedivano. Ai Genitori. Ai Maestri. A un Sindaco, sconosciuto ma decisamente antipatico, che non li voleva alla Festa del 4 Novembre perché risiedevano “in un paese limitrofo al Borgo Grosso”.
Limitrofo. Mi segnai la parola e poi andai a cercarmela sullo Zingarelli.
Coccarda. Limitrofo. Due parole nuove. E un dolore infinito per un’esclusione assurda, immotivata e ingiusta…
Mi vennero le lacrime agli occhi e chiesi al Maestro Toni di uscire. Mi guardò e, molto gentilmente, mi domandò se non volessi, per caso, cantare con gli altri: negai immediatamente, sostenendo d’avere un feroce mal di testa e un gran bisogno di bere un goccio d’acqua.
Corsi in bagno e, il più silenziosamente possibile, piansi tutte le mie lacrime. Pensavo che il mio cuore si sarebbe fermato per il dispiacere. Piansi a lungo: nessuno venne a bussare al mio cubicolo, ma, con il senno di poi, sono sicura che il Maestro Toni venne nel Bagno delle Bambine e, sentendomi piangere, decise di rispettare il mio dolore.
Nessuno mi disturbò e, quando mi sentii in grado di farlo, mi lavai il viso e tornai in classe, dove ripassai il capitolo delle Guerre Puniche.
Non so se il Maestro Toni disse qualcosa alle altre Maestre: in fondo, era un uomo giovane, diplomato da pochi anni, un Maestro Supplente trapiantato al Nord da un paesino della Calabria…
Sì, dottoressa, è proprio così: sono trascorsi oltre quarant’anni, quasi cinquanta ormai, ma, quando ci ripenso e quando ne parlo, è come se fosse successo ieri.
Ed è come se un guanto di spine stringesse di nuovo il mio cuore.
L’esclusione è la cosa più tremenda che un bambino possa provare, indipendentemente dal motivo per il quale essa avviene.
Crescendo, puoi fartene una ragione, ma non arrivi ad accettarlo. Mai.
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I genitori più consapevoli, quelli che hanno lottato e lottano per il bene comune della Libertà, la Libertà piena, che è l’unica Libertà, soffrono e piangono le stesse lacrime di Rita e quelle dei loro bambini, tutte le volte che i perfidi meccanismi di coercizione delle ‘masse’ afferrano il loro cuore per intero con un feroce guanto di spine per stritolare la Vita e l’integrità dell’Umanità.