“A chi” fanno bene gli integratori alimentari o complementi alimentari o… come accidente vogliamo chiamarli?
Da qualche tempo, mi pongo questa domanda, ma non ho ancora trovato grandi risposte, non risposte “accettabili”, per lo meno.
Qualche anno fa, una mia Paziente – chiamiamola Liliana! – attraversò un bruttissimo momento: nel giro di pochi mesi, perse due persone care ed ebbe un aborto, non volontario. Si riprese anche dalla batosta della perdita del bambino (e delle sue speranze di diventare madre) e, dopo qualche settimana di convalescenza, si ripresentò al lavoro. Le colleghe l’accolsero con sorrisini di circostanza e con un “benvenuto” decisamente poco caloroso.
Un po’ per volta, Liliana si rese conto che le tre settimane trascorse a casa avevano cambiato qualcosa nel rapporto (quasi decennale) con le colleghe: nessuna sembrava fidarsi più di lei! Nessuna sembrava più disponibile a prendere un caffè in sua compagnia.
Venne “dimenticata” quando si organizzò la serata-pizza dell’ufficio e nemmeno le fu chiesto di contribuire quando il gruppo organizzò la cena d’addio per la collega che stava andando in pensione.
Già depressa per le vicende personali, Liliana cominciò a sentirsi sempre peggio quando, al mattino, doveva andare al lavoro: tachicardia, ansia, mal di stomaco e via di questo passo, fino a sviluppare veri e propri attacchi di panico.
Un giorno, Liliana fa convocata dalla responsabile del personale, che le disse che “la sua presenza non era più necessaria” e che le consigliò di licenziarsi “spontaneamente, in modo da avere due anni di stipendio pagati”. Basita, la mia Paziente domandò quale fosse il problema e, riuscendo ad avere solamente una risposta molto evasiva, chiese di poterci riflettere un po’, prima di prendere una decisione così impegnativa.
A quel punto, Liliana era veramente ridotta male: per quanto il marito cercasse di consolarla, piangeva per ore la perdita delle sue speranze di maternità, non riusciva a rassegnarsi d’avere perso un fratello e un’amica carissima in un lampo e, ovunque volgesse lo sguardo, vedeva solamente volti arcigni, che sembravano decisamente scontenti di vederla.
Per carità, nessuno le diceva niente di negativo, ma non le veniva neanche detto altro: improvvisamente, era come se fosse diventata trasparente.
In quello stesso periodo, Liliana fu contattata da una conoscente persa di vista da tempo, che la invitò a partecipare a una “riunione”, dove avrebbe conosciuto “persone decise, che avevano lavorato sodo, riuscendo a ‘farsi una posizione’, persone determinate che si erano create un lavoro”.
Lavoro? Lontano dal nido di vipere ch’era diventato il suo ufficio? A Liliana non pareva vero: forse, da tanto dolore, poteva uscire qualcosa di positivo, poteva esserci una speranza di serenità anche per lei…
Decise quindi di partecipare alla prima riunione, in compagnia del marito, per fortuna.
Un gruppo di rampanti giovanotti in giacca e cravatta presentò ai convenuti un “prodotto innovativo, un integratore alimentare davvero miracoloso, potente nella cura dell’asma, capace di contrastare la depressione e – addirittura! – in grado di prevenire i tumori”!
Secondo quello che sembrava essere il capogruppo, le persone invitate alla riunione erano state “scelte” per diventare – a loro volta – “promoter”, meglio: venditori!, con la prospettiva d’arrivare a guadagnare anche 3-4 mila euro la settimana nel giro di qualche mese. Il prodotto da vendere era un liofilizzato in bustine, un preparato per “prima colazione” – in sostanza: caffè, tè, cappuccino o cioccolato solubile, da “ricostituire” con acqua o latte caldo.
Liliana – secondo quanto riferitomi poi dal marito – sembrava ipnotizzata: aveva la possibilità di “crearsi un lavoro”, di affrancarsi dall’ufficio-nido di vipere, di – secondo le sue parole – “tornare a sperare”.
Nei giorni successivi, mi fecero avere uno bustina del prodotto in questione e, a quel punto, mi ritrovai davanti il “fantasma” d’una vecchia conoscenza, il Ganoderma lucidum.
Anni addietro, infatti, avevo prescritto del Ganoderma lucidum a due miei Pazienti, due diversi prodotti, preparati da due diverse – e validissime – Aziende: a fronte di un costo MOLTO elevato, i risultati erano stati davvero spettacolari!
Purtroppo, a distanza di di qualche anno l’una dall’altra, entrambe le Ditte, che avevano un mercato davvero di “nicchia”, avevano chiuso i battenti.
Entusiasta per la “scoperta” e per la prospettiva d’un nuovo lavoro, Liliana mi magnificò tutte le caratteristiche del prodotto che le era stato proposto, prodotto di cui non desidero fare il nome (anche – e soprattutto – per evitare di fargli una pubblicità che NON merita) e che da qui in avanti chiamerò quindi “Funghetto”. Esaltata all’idea di poter a sua volta proporre alle persone un liofilizzato così valido e miracoloso, la mia Paziente – sotto lo sguardo sconsolato del marito – arrivò a dirmi che, magari, avrei io stessa potuto consigliarlo ai miei malati…
Nei giorni precedenti, Ernesto – il marito di Liliana – aveva svolto qualche ricerca, giungendo alla conclusione che si trattava d’una truffa colossale, e che la cosa si sarebbe risolta nell’ennesima “sconfitta” per la moglie. Secondo il materiale trovato da Ernesto su siti ufficiali del Ministero, la multinazionale produttrice del Funghetto era già stata condannata da un Giudice a pagare allo Stato Italiano una multa colossale, mentre il suo Avvocato ne difendeva l’operato dicendo che, comunque, “non valeva la pena registrare il prodotto come ‘integratore’ data la quantità super-minima di Ganoderma in esso presente”.
Io stessa, avvertita da Ernesto, avevo visitato i siti – ufficiali e non – dell’Azienda e dei suoi “Promoters”, nonché quelli del Ministero e i vari “forum” frequentati dai consumatori.
Una vera Caporetto…
Il Funghetto – fino a quel momento – non era mai stato registrato presso il Ministero né come “integratore” né come “farmaco” (figuriamoci!), da nessuna parte era scritto “quanto” Ganoderma ci fosse nel preparato e, dalle confezioni, era impossibile risalire allo stabilimento in cui era stato prodotto: le ricerche si perdevano, molto genericamente, in Bangladesh, in Myanmar o in Malaysia…
Con la massima delicatezza possibile, ricordai a Liliana che, purtroppo, non tutto quel che luccica è oro zecchino e che, più spesso, si tratta di patacche micidiali.
Parlai a Liliana delle mie ricerche e delle “poco oneste” scoperte che avevo fatto e, davanti alla sua delusione, le raccomandai, prima di impegnarsi, di firmare qualunque documento o di comprare qualunque cosa, di farsi dare qualche spiegazione “mirata”.
Alla riunione successiva, quando Liliana pose le (mie) domande, il capogruppo dei giovani Giacca-Cravatta si profuse in spiegazioni – una meno chiara dell’altra – e le mostrò un lunghissimo elenco, tratto da un sito ministeriale, in cui, tra gli “integratori”, figurava anche Funghetto-Ganoderma lucidum.
Qualche giorno dopo, quando Liliana e Ernesto mi richiamarono, computer e sito ministeriale alla mano, feci loro notare che la “registrazione” era stata fatta per “Funghetto-Ganoderma lucidum”, ma che NESSUNO dei diversi liofilizzati era stato registrato con il proprio nome – diversamente da come si fa di solito e da come era stato fatto per gli altri “integratori”, quelli “veri”!
Liliana decise di lasciar perdere l’attività di venditrice prima ancora di intraprenderla, di dimenticare gli integratori alimentari e di concentrarsi, invece, nella ricerca d’un altro lavoro, data la situazione creatasi con le attuali colleghe.
Non ho menzionato il costo delle suddette bustine: una “dose” giornaliera costava 1 euro-1 euro e cinquanta centesimi, a seconda del prodotto, per un totale di 30-40 euro circa al mese. Vale a dire, circa quattro-cinque volte il costo delle “normali” cialde da caffè o di “normali” (nonché scadenti, quanto a qualità) bustine di liofilizzati “da colazione”….
Nel 2006, il mio “Paziente-Ganoderma n.2”, comunque, quello che aveva ottenuto un risultato eccellente per la sua patologia, tanto per intenderci, spendeva qualcosa come 750 euro al mese…. in quelle pasticche, però, il Ganoderma lucidum c’era veramente, e in quantità ben definite e molto elevate, nonché adeguatamente registrate presso gli organi ministeriali di competenza!
Qualche mese fa, un’altra mia Paziente – chiamiamola Loredana! – mi ha telefonato, dicendo che la cugina dell’amica della nipote della vicina di casa (cioè: un’emerita “non so chi”, regolarmente NON laureata in Medicina e NON abilitata a curare il prossimo) le aveva proposto il Funghetto, quale “aiutino” per la sua malattia autoimmune.
Loredana è laureata in Biologia: le ho consigliato di andarsi a leggere i siti ministeriali che parlano dell’argomento, in modo da riparlarne in un secondo momento… ovviamente, ha soprasseduto, ringraziando la cugina dell’amica della nipote della vicina di casa per il gentile interessamento e spiegando che la sua Dottoressa le stava dando dei farmaci che avrebbero potuto interagire negativamente con il Funghetto stesso. Altrettanto ovviamente, dopo una proposta in tal senso, le ha pure spiegato che non intendeva lasciare i farmaci per un liofilizzato da colazione…
Speriamo che la cugina dell’amica della nipote della vicina di casa abbia capito che con le malattie e con i farmaci non si scherza.
Sempre a proposito di “integratori alimentari” e delle persone cui giovano “veramente”, non posso non citare la disavventura occorsami qualche settimana fa.
Quando un prodotto “nuovo e miracoloso” mi viene proposto, le mie antenne si rizzano e cerco sempre o di testarlo su di me o, almeno, di compiere ricerche accurate sullo stesso.
Qualche tempo fa, quindi, un Collega mi ha consigliato di provare Mirto-Foglia (per i motivi esposti più sopra, il nome è di fantasia), una “bomba vitaminica” che, a sentir lui, avrebbe “risuscitato un morto”.
Sarà che io non ottemperavo all’essenziale condizione d’essere già cadavere, ma, a me, il Mirto-Foglia ha provocato solamente un gran mal di stomaco, con nausea, sudorazione fredda e crampi tremendi (localizzati alle flessure coliche, tanto per essere precisi)…
Quando ho letto la quantità di ingredienti presenti nella bustina-dose, m’è preso un mezzo accidente: per visualizzarli tutti, ho dovuto usare una lente d’ingrandimento (dimensioni dell’involucro: 8 x 4 cm circa)…
Quando ho chiesto al Collega in questione una documentazione scientifica inerente le proprietà di Mirto-Foglia, mi son vista recapitare un malloppone malamente tradotto dall’inglese all’italiano (chiedo scusa, ma se un’Azienda non può permettersi una traduzione ben fatta e si affida al traduttore di Google, magari non è proprio così seria come vorrebbe farmi credere…), un elenco di lavori pubblicati su riviste assolutamente sconosciute (non solo a me, ma anche a “medline”) e una lista di siti autoreferenziali, in cui Pazienti di Paesi lontanissimi dall’Italia magnificavano le proprietà del prodotto, ovviamente nell’improbabile lingua d’un traduttore automatico…
Diffidente? Forse. Sta di fatto che, quando ho comunicato al Collega che NON ero interessata ad approfondire ulteriormente l’argomento Mirto-Foglia, m’ha mandato una mail che diceva: “Mi dispiace per te, non per me: ti sei persa un’opportunità!”.
Capito, adesso, “a chi” giovano veramente “certi” integratori alimentari??????
foto di Tara Winstead in pexels