La guerra. Ne ho letto sui libri: pensieri e pensieri e pensieri. E riflessioni. Tante riflessioni.
La guerra di trincea. La Grande Guerra. 1914-1918, quando a combattere andarono pure i miei Nonni.
La Guerra-Lampo. 1939-1945, quando i miei Zii furono chiamati al fronte, e solo per un caso del Destino non ci arrivarono mai.
La guerra. L’abbiamo vissuta pure noi – mio marito e io – quando il Destino ci ha dato l’appuntamento.
Già.
La guerra civile. 1994, il Genocidio del Rwanda, vissuto giorno dopo giorno, notte dopo notte, coprifuoco dopo coprifuoco, imboscata dopo imboscata.
…e dopo la guerra?
Ceneri e macerie.
Rapporti interrotti che non possono essere riallacciati perché l’”altro” non c’è più.
Figli che non sono tornati.
Ragazzi rimasti per sempre sulle sabbie di El Alamein.
Bambini che non hanno più rivisto i Papà, dispersi in mare o nei cieli.
Giovani donne che hanno aspettato invano il ritorno del fidanzato o del marito, disperso durante la ritirata di Russia.
Giovani donne.
Come Zia Tonina, che ha aspettato e poi pianto il suo Guerrino perduto sulle nevi che coprivano le sponde del Don.
Cenere, macerie e morti. Tanti morti.
“Ma la peggiore di tutte – ipotizzava la mia Mamma – dev’essere la guerra civile. Dev’essere tremendo: fratelli contro fratelli, amici contro amici, vicini di casa contro vicini di casa… camminare da soli, senza potersi fidare di nessuno… terribile, deve essere terribile..”.
Sì. Lo confermo: è davvero terribile.
Ricordo i racconti dei sopravvissuti al genocidio del Rwanda o alla carneficina attuata pochi mesi prima in Burundi, durante la recrudescenza della perenne lotta tra Hutu e Tutsi: (quasi) nessuno si fidava più di (quasi) nessuno.
Perché il “nemico” poteva la persona con cui avevi magari condiviso il banco di scuola o il lavoro nel campo, perché lo “spione” poteva annidarsi tra i vicini di casa o tra i parenti, perché il “collaborazionista” poteva venderti agli “altri” in cambio d’un pacchetto di sigarette…
Guerra civile.
Sébastien, nascosto su un albero con arco e frecce.
Lin, rannicchiato sulle assi portanti del controsoffitto del Bloc Opératoire.
Immaculée e i suoi bambini, mimetizzati dietro un mucchio di scarti di foglie di banana dentro una capanna diroccata. Guerra civile.
Morte del corpo, morte del cuore, morte dell’anima.
Guerra e morte.
È novembre. È il tempo di Ognissanti. È il tempo delle feste dei Morti. È il tempo dei ricordi.
>…e come non ricordare i Caduti con le parole del grande Ungaretti?
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro.
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel cuore
nessuna croce manca.
È il mio cuore
Il paese più straziato.
San Martino del Carso – 27 agosto 1916.
Meravigliosa lettura.
E ancora oggi dopo tante guerre, l’uomo non impara ed ogni volta dimentica il senso del dolore e dell’amore.