Siamo “quasi” alla fine dell’estate, e quando qualcosa è “sul finire” è pure tempo di riflessioni.
Nei giorni scorsi, ci sono stati degli acquazzoni molto forti e, in poche ore, la temperatura si è abbassata di circa 15 gradi.
“La prima acqua d’agosto rinfresca il bosco”, recita il noto proverbio, che, essendo frutto di saggezza e di riflessione popolare, ha sempre ragione: questi temporali hanno rinfrescato anche i “boschi” moderni, quelli fatti di palazzoni in cemento armato, di antenne XXX-G, di “padelloni” per acchiappare i segnali dei canali televisivi più disparati e di provenienza più lontana.
Le giornate sono già diventate un po’ (tanto) più corte e invitano alla… riflessione!
Qualche giorno fa, una delle mie Mamme si lamentava perché la figliola di 12 anni, armata del tablet acquistato per la scuola durante il ben noto periodo di “Didattica-A-Distanza”, ma (purtroppo) divenuto subito un inseparabile e irrinunciabile compagno di vita, non riusciva a trovare il significato d’una parola semplicemente “cliccandoci sopra”.
Leggere un testo, incontrare un vocabolo sconosciuto, cliccarci sopra e conoscere il significato della parola “nuova”.
Semplice e lineare – più o meno – ai giorni nostri.
Semplicemente impensabile quando io ero una ragazzina!
Già la sola parola “cliccare” non aveva grandi significati: anche ammesso che un qualche dizionario la riportasse (cosa di cui dubito fortemente), non aveva un significato molto diverso da “pigiare una o più volte su un pulsante”.
Ora, il dizionario Treccani via “rete” recita: “v. intr. [der. di clic, come voce onomatopeica] (io clicco, tu clicchi, ecc.; aus. avere). – Nel gergo informatico, schiacciare il pulsante del mouse per compiere un’operazione che viene visualizzata sullo schermo attraverso il «puntatore»: basta c. su una parola per selezionarla; bisogna c. due volte per aprire un file, un’icona; cliccando sul link si viene collegati alla pagina richiesta; c. con il mouse, o anche, ma meno com., con uso trans., c. il mouse.”
La ragazzina di cui sopra – chiamiamola Elena! – ama leggere, e si sente! Parla in maniera spigliata, con una discreta proprietà di linguaggio, riuscendo addirittura a costruire frasi ipotetiche con il congiuntivo e il condizionale ben centrati (cosa, di questi tempi, non scontata, neanche per tanti laureati!).
La Mamma dice che Elena non ha una gran memoria (e per questo chiedono aiuto a me): ha difficoltà a ricordare le lezioni, anche se trascorre tante ore sui libri.
A questo punto, chiedo alla ragazzina come sia andata l’ultima pagella: “Benissimo! – risponde – ho riportato il massimo dei voti in tutte le materie!”.
Sempre più perplessa, le chiedo quali siano le ultime “parole difficili” che ha incontrato leggendo il libro via tablet: Elena spalanca gli occhi e mi guarda come se non capisse cosa le sto domandando.
“Massì – le dico – la parola di cui non conoscevi il significato e le altre, quelle per cui vorresti la definizione con un ‘clic’ che non è previsto dal libro che hai caricato…”.
“Non ne ho idea: le ho semplicemente ignorate…”, risponde serena.
“Ti ricordi qualche parola che hai cercato via rete, con il ‘clic’ – insisto – qualche parola di cui non conoscevi il significato e che ora, magari, riesci a usare nella vita di tutti i giorni o nei temi per la scuola?”
“Veramente, no…”.
Lasciamo Elena e la sua Mamma nel mio studio e andiamo oltre.
Ho sempre letto tanto e, naturalmente, da ragazzina, spesso incontravo (ora, un po’ meno!) vocaboli di cui non conoscevo il significato, ma avevo un mio modo per ovviare all’inconveniente.
Intanto, quando mi sedevo a leggere, avevo sempre carta e penna a portata di mano: se il significato della parola sconosciuta poteva essere dedotto dal contesto, annotavo la parola stessa, riservandomi di controllarla più tardi sul mio fido Zingarelli; se il vocabolo era assolutamente indispensabile per la comprensione del testo, mollavo tutto e correvo a prendere il vocabolario.
Appurato il significato del termine, costruivo (mentalmente) due o tre frasi, in modo da poterlo ricordare meglio.
Era – è – il mio sistema per “scolpire nel muro” il significato delle parole incontrate sui testi, per non dimenticarle.
Recentemente, mi è capitato di cercare qualche parola in rete, esattamente come fanno Elena e la maggior parte dei ragazzi di oggi.
Ho avuto bisogno, per la precisione, di un termine in inglese per una favola che stavo leggendo.
Avendo il computer acceso e non avendo voglia di alzarmi, non sono andata nella stanza in cui tengo il dizionario cartaceo: ho, semplicemente, digitato in Google…
Un disastro.
Ho trovato la parola, l’ho inserita nel contesto del momento e… l’ho subito dimenticata!
Sono arrivata in fondo alla favoletta e… già non ricordavo più il vocabolo cercato!
In quel momento, ho avuto la visione della mia memoria: da una parte, una serie di parole scolpite nel muro o nella roccia, dall’altra, una lavagna con una serie di foglietti malamente appiccicati, una manciata di “foglie” che il vento sollevato da Padre Tempo al suo passaggio fa volare via…
M’è venuta un’idea: forse, per imparare, bisogna fare un po’ di fatica, e quella del “clic” sul tasto di un computer o di un tablet… non è sufficiente!