• …ma non glielo posso inviare via WhatsApp, il risultato delle analisi??
* No, non può! Perché, per motivi di ‘privacy’ – la ‘privacy’ dei miei Pazienti! – non ho tale applicazione sul cellulare…
• Nessun problema: le mando un’email così li vede subito!
* No, non si può fare neanche questo: leggo la posta elettronica solo dal computer, non dal cellulare, e adesso non sono in studio. Sa, il mio cellulare è un ‘telefono’ a tutti gli effetti: lo uso per ‘telefonare’! no WhatsApp, no collegamento alla ‘rete’, no email, no Google-maps… al massimo, quando non si perdono nell’etere, invio/ricevo sms…
• … …. …
Da qualche tempo, sono letteralmente BOMBARDATA dalle richieste di “invio tramite WhatsApp”: Parenti, Amici e… Pazienti vorrebbero inviare “di tutto e di più”. Dai messaggi del tipo “a che ora ci troviamo dal Nonno?” alle cartelle cliniche, passando per il foglietto illustrativo del “prodotto miracoloso” acquistato via-internet e le foto del bambino “con le macchiette”…
WhatsApp, WhatsApp, WhatsApp… ma di che si tratta? E cosa comporta, esattamente, servirsi di questo popolarissimo “sistema di comunicazione”? per il mio lavoro, uso il computer tutti i giorni, ma, mentalmente, mi considero un po’ “in prestito” nel mondo del tecnologico e ancora molto legata a carta-penna stilografica: a questo punto, però, devo cercare di capire e quindi… via di ricerche!
Secondo Wikipedia, WhatsApp è
“…un social network, creato nel 2009 (…). Gli utenti possono scambiare messaggi di testo, immagini, video e file audio, nonché informazioni sulla posizione, documenti e informazioni di contatto tra due persone o in gruppi tramite WhatsApp. (…) il servizio richiede agli utenti consumatori di fornire un numero di cellulare standard. Originariamente, gli utenti potevano comunicare solo con gli altri individualmente o in gruppi di singoli utenti…”.
WhatsApp piace. Piace molto, moltissimo: si calcola che nel mondo ci siano almeno 1.2-1.5 miliardi di utenti con gli Italiani che la preferiscono a tutte le altre applicazioni di messaggistica.
WhatsApp piace ai ragazzini, che la usano per scambiarsi informazioni e messaggi, anche se, in teoria, solamente chi ha 16 anni compiuti può legalmente iscriversi a questa “rete sociale” o “social network” che dir si voglia!
WhatsApp piace ai genitori dei bambini che frequentano la stessa classe, che si scambiano informazioni sui figli, sui compiti fatti/da fare, sulla prossima gita scolastica o sulla data per la pizza di fine-anno.
WhatsApp piace ai gruppi: si tratti di ex-compagni di classe, di persone accomunate dal frequentare la stessa palestra o praticare lo stesso sport, di amici appassionati di cinema d’essai o di qualsiasi altro gruppo che debba scambiarsi notizie o informazioni su date e orari di ritrovo, sembra che più nessuno possa farne a meno.
WhatsApp piace… anche a chi ha tempo da dedicare a giochini quali il “Vicino di Numero” (traduzione nostrana dello statunitense “Number Nighbor”) – uno dei “giochi trend” dell’estate 2019 – a chi piace, in sostanza, interpellare dei prefetti sconosciuti con cui condivide “tutte -1” le cifre del numero di cellulare e non teme di sentirsi prendere a male parole o… peggio, se le persone così contattate si sentono importunate o se incappa in qualcuno che male-interpreta il messaggio…
WhatsApp piace… ma può essere anche fonte di non pochi dispiaceri, secondo quanto leggo sui giornali… on-line! Già, WhatsApp può diventare mezzo di diffusione della pedopornografia, facile via per la bravata/vanteria che si risolve in un danno per qualcun altro, diabolico sistema per un vero e proprio “lavaggio del cervello” e successivo “controllo” di persone in difficoltà, di persone che stanno attraversando un momento difficile…
Secondo quanto riportato dai giornali, WhatsApp piace molto anche ai Medici e ai Pazienti, perché, a quanto pare,
“…’permette un supporto diretto e continuo del medico’. I sintomi, i referti delle analisi e la diagnosi viaggiano da uno smartphone all’altro, semplificando la comunicazione, azzerando la burocrazia e spesso azzerando la coda…”.
Secondo quanto scritto nel già citato articolo, tanti Colleghi e tanti Pazienti pensano che l’uso di WhatsApp consenta di mantenere un controllo costante dei sintomi e degli effetti della terapia (vedi precedente citazione).
Sarà. Non mi permetto certo di discutere le preferenze dei Colleghi!
Però… già, c’è anche un “però” e lo incontriamo continuando a leggere il succitato articolo, che prosegue riportando le parole del Dott. Marco Masoni, esperto di tecnologie in campo medico del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze:
“… i dati di WhatsApp sono di proprietà di Facebook e vengono memorizzati sui server al di fuori dell’Unione Europea, il che risulta in contrasto con le norme sul trattamento dei dati (Gdpr) in vigore da maggio 2018”…
Dati conservati “fuori dei confini UE”, quindi NON soggetti alle leggi – per fortuna nostra, molto garantiste! – che ci difendono da un uso improprio/abuso dei nostri “dati sensibili”…
Visto il crescente flusso di informazioni “sensibili” che viaggiano via WhatsApp, anche la prestigiosa rivista inglese British Medical Journal (BMJ) ha dedicato parecchio spazio all’argomento con una serie di pubblicazioni destinate ai medici.
Alcune di queste pubblicazioni risalgono al 2017 e sono davvero molto chiare: pur lodando, infatti, i vantaggi di applicazioni di messaggistica quali WhatsApp, sottolineano il fatto che “i dottori non possono usare WhatsApp senza entrare in contrasto con il Gdpr”.
Il BMJ ha pubblicato diversi articoli e curato alcune pubblicazioni-guida per servirsi dei social e dei canali digitali senza incappare in spiacevoli incidenti.
Il BMJ propone, quale alternativa alle applicazioni attualmente in uso, lo sviluppo di “applicazioni di messaggistica istantanea appositamente dedicate”, che dovrebbero essere “più sicure”.
Chissà se tali applicazioni diventeranno realtà… nell’attesa, preferisco astenermi dall’utilizzo di WhatsApp e attenermi ai soliti, vecchi (oserei dire “antichi”, visto che risalgono a Ippocrate) sistemi: vedere il Paziente, visitarlo, sfogliare davanti al Lui/Lei la sua cartella clinica cartacea e discuterne de visu, senza dovermi preoccupare che il solo sfiorare un minuscolo tasto di telefonino renda pubblico qualcosa che di pubblico non ha proprio nulla o che qualche solerte “intercettatore” sciorini al mondo intero i problemi del mio Paziente!
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