Dal fondo della CassaPanca del Tempo, Joseline sorride. Joseline. Joseline e la Resistenza a Oltranza. Joseline e i suoi Figli. Con delicatezza, sposto la velina color crema e osservo la foto. Una foto vecchiotta. Una foto che sembra ancor più datata perché stampata in modo da lasciare un bordino bianco tutt’intorno all’immagine, come si usava anche in Italia negli Anni Sessanta-Settanta.
Ricordo perfettamente le circostanze dello scatto e le persone ritratte.
Kiremba, Nord del Burundi, marzo 1994. Roberto e io siamo arrivati da un paio di settimane e stiamo iniziando a conoscere l’ambiente e le persone.
La fotografia è stata scattata da Roberto davanti al Centre de Santé, luogo in cui si pesano e si vaccinano i Bambini, luogo in cui l’Infermiera Domine tiene le lezioni di “educazione alimentare” per le Mamme.
Al centro d’un gruppetto di Mamme spicca Joseline. Più alta della media, fasciata nel pagne variopinto che sostituisce la gonna e può, all’occorrenza, servire come fascia porta-bambini, Joseline è lì, nel bel mezzo d’un racconto, con il viso e il corpo segnati da un dolore che solo pochi minuti dopo avrei compreso appieno.
Vicino a me, anche lei non visibile nella fotografia, c’è la Dottoressa Simonetta Dolce, una Collega italiana che con il marito – Maurizio Armisi, medico pure lui – trascorre le sue ferie lavorando nell’ospedale di Kiremba: è proprio Simonetta a sussurrarmi di chiedere a Domine di tradurre per me le parole di Joseline.
Joseline, che parla solo il kirundi, intuisce la mia richiesta: mi guarda con i suoi begli occhi neri e ripete la sua storia dall’inizio.
Nel periodo di disordini seguiti all’assassinio del Presidente Melchior Ndadaye*, tutti i suoi figli sono stati uccisi: uno dopo l’altro, i suoi sei figli maschi sono stati “eliminati”. Uno è stato trovato morto sul ciglio della strada, riverso in una pozza di sangue, un altro è stato attirato in un’imboscata. Un terzo è “sparito”… Joseline sa perfettamente chi sono i responsabili di queste morti, ma non accusa nessuno: troppe le orecchie in agguato!
Ascolto il racconto di Joseline, senza comprenderne le parole: la osservo mentre parla in maniera tranquilla, pacata, con la compostezza tipica dei Barundi, e mi chiedo come sia possibile mantenere una simile calma quando si fanno discorsi così tremendi, quando si parla della morte dei propri figli.
Domine traduce in francese e Joseline si ferma, dando a lei il tempo di parlare e a me di assimilare il senso del discorso.
Politicamente impegnati, i suoi ragazzi sono stati massacrati per l’Idea, la loro idea di Libertà, il loro impegno per costruire un Paese Libero nel quale vivere da Liberi Cittadini.
Ad un certo punto, Joseline smette di parlare, mette le mani sui fianchi, raddrizza ulteriormente le spalle già perfettamente diritte e mi guarda negli occhi dicendo: “Hanno ucciso i miei sei figli maschi, ma io sono ancora giovane: ne avrò degli altri e continuerò a insegnare loro a lottare per la libertà del nostro Paese!”.
Guardo la foto e ripenso a Joseline, alla sua fierezza e alla sicurezza con cui ha detto, tanti anni fa, che “avrebbe avuto altri figli”. Aveva già superato i quarant’anni, un fisico segnato dalle numerose gravidanze e un notevole gozzo da ipotiroidismo, era stata provata da tanti dolori ma non ne era stata vinta. Joseline. Una combattente nata. Una vera Guerriera.
È trascorso quasi un quarto di secolo: non ho più rivisto Joseline né ho più sentito parlare di lei, ma – dato il personaggio – penso sia riuscita ad avere almeno altri due o tre figli. Due o tre bambini che ora potrebbero avere l’età per continuare la lotta della loro Mamma, la lotta che è costata la vita ai loro perduti fratelli.**
Ripenso alle parole con cui Domine ha “chiuso” la sua traduzione: “I figli sono come frecce che noi tiriamo con l’arco: quando li mettiamo al mondo, non sono già più nostri. A volte, ce li ammazzano ma noi continuiamo a farli nascere perché abbiamo un bersaglio da colpire”.
Foto di Alain Frechette in Pexels
*ex-colonia tedesca (fino alla Prima Guerra Mondiale) e poi colonia belga, il Burundi ottiene l’indipendenza nel 1962. Nel 1993, si tengono le prime “libere elezioni” della storia del Paese: Melchior Ndadaye diviene il Primo Presidente Hutu del Burundi. Il suo mandato si concluderà tragicamente il 21 ottobre dello stesso anno: il suo assassinio scatenerà una faida tra Bahutu e Batutsi che durerà diversi mesi.
**all’epoca, non ho voluto sapere a quale gruppo etnico appartenessero Joseline o i suoi figli (in caso di matrimoni tra appartenenti a gruppi diversi, ai bambini viene attribuita l’etnia paterna): per me, questa Donna era – e rimane – il simbolo della Resistenza e della Resilienza, della capacità che gli Esseri Umani hanno di resistere e di opporsi a ciò che considerano “Male”.
certo mia cara Dottoressa Teresa,
questa donna “guerriera” rappresenta tutte le donne forti e coraggiose di ieri, di oggi ,di sempre e per sempre!!!!!!le loro azioni, le loro voci ,le loro lacrime hanno intriso l’universo intero e sono poste nell’archivio celeste dell’eterno!
grazie per aver condiviso questa stupenda testimonianza con tutte noi, fa sempre tanto bene all’anima !
Gianna
😉