Diversi mesi fa, la CassaPanca del Tempo mi ha restituito un foglio ingiallito, la fotocopia della prefazione al libro “I Medici Maledetti”, libro di cui ho già parlato tempo fa (Dalla Cassapanca del Tempo – 8 febbraio 1983).
L’Autore, Christian Bernadac, riporta nella prefazione le parole di François Bayle:
“Basta che si ritrovi, nel mondo, un tiranno simile, piccolo o grande, che riesca a rendere fanatici i giovani con una ideologia altrettanto ‘idealista’, falsa e inumana da estirpare dalla mente dei suoi sostenitori ogni nozione religiosa (e morale), e il peggio rinascerà. I medici violeranno ancora la coscienza umana con pretesti scientifici e utilitaristici. Si architetteranno delle mostruose ricerche, le stesse che non hanno raggiunto un fine in Germania, ma che saranno tentate altrove; lo Stato onnipotente se ne assumerà la responsabilità e tutto ricomincerà.”
Ricordo interi pomeriggi trascorsi, da piccolina, a ricamare e ad ascoltare i racconti di Mamma, che, mentre cuciva, parlava della Guerra, delle deportazioni e dei Campi di Concentramento; spesso, per la verità, mi parlava anche del Concilio di Trento e della Caccia alle Streghe, ma … questa è un’altra storia!
Mentre Mamma parlava – tra le altre cose – anche dei “medici nazisti” e degli atroci “esperimenti” da loro effettuati nei Campi, ogni tanto, inorridita, la interrompevo per chiederle:
“Mamma, ma è mai possibile che NESSUNO di questi dottori abbia detto:
‘IO NO!’???”.
Ricordo il suo sguardo triste e la sua, sconsolata, sempre identica!, risposta: “Avevano paura anche loro. Non credo potessero rifiutarsi di fare queste brutte cose. Magari, qualcuno ci avrà anche provato, ma, se lo ha fatto, io non ne sono informata. Ti informerai tu, quando sarai più grande, così poi ne riparleremo…”.
Diversi anni dopo, leggendo il libro “I Medici Maledetti” e la frase di François Bayle, mi posi – ovviamente – un paio di domandine:
possibile che “tutti” i medici tedeschi fossero ansiosi di partecipare ai “programmi” proposti dalle Autorità del Nazi-Reich?
E ancora: chi è (o chi era) F. Bayle?
François Bayle, neuropsichiatra, è stato un medico della Marina militare, membro della Commissione scientifica dei crimini di guerra al processo di Norimberga. Ha avuto modo di conoscere personalmente e di interrogare i maggiori criminali nazisti, seguendone poi il processo. Questa sua esperienza, insieme a parte degli atti e delle sentenze del processo stesso, è stata riportata nel libro “Croix Gammée contre Caducée”, pubblicato in Francia nel 1950. Il testo, un malloppone di circa 1500 pagine, è stato stampato in Francia una sola volta, senza altre ristampe e non so se sia stato tradotto in altre lingue (sicuramente, NON in italiano).
Venuta a conoscenza dell’esistenza di quest’opera, l’ho cercata in diverse biblioteche e presso i rivenditori di libri usati. L’ho rincorsa per ANNI. Inutilmente. Ne ho trovata qualche copia in vendita, ma a un costo davvero altissimo; ho contattato anche la BnF-Bibliothèque nationale de France, che ne conserva un esemplare, chiedendo se fosse possibile, pagando!, avere il libro in pdf… sono stati gentilissimi ma irremovibili: il libro è consultabile nelle loro sale, a Parigi, ma non è possibile averlo in prestito né acquistarne una copia su cd o in pdf…
Finalmente, qualche mese fa, ho ri-contattato la Biblioteca Civica della mia città e il Referente dei prestiti interbibliotecari – il premurosissimo Signor Giovanni Piccirilli – s’è fatto carico della cosa: il libro è stato trovato in una biblioteca di Roma e, nel giro di pochissimi giorni, è arrivato a Verona, in via Cappello… e da lì… nelle mie mani!
Gli Storici sono concordi nell’affermare che la maggior parte dei Medici tedeschi non solo non fu favorevole alle “proposte” del Nazi-Reich, ma, quando possibile, oppose una resistenza passiva e, magari senza troppo esporsi, cercò di boicottare/sabotare i piani del Gemeinnuetzige Stiftung fuer Heil und Anstaltspflege (quello che potrebbe essere definito come il Ministero della Salute dell’epoca nazista).
Nel suo “Croix Gammée contre Caducée”, il Dottor François Bayle riporta, tra gli altri documenti, una lettera di un tale Dottor Hoelzl, che ebbe il coraggio di dire:
“IO NO!”
Verso la fine del 1938, il Nazi-Reich aveva iniziato un programma di “eutanasia attiva” che prevedeva l’eliminazione delle persone fisicamente o mentalmente disabili: in un primo momento, furono “selezionati” solamente i bambini ospiti delle case di cura, ma il “modello” fu poi esteso agli adulti e, subito dopo, – come ben sappiamo – a milioni di esseri umani, colpevoli di essere “non-conformi”. Non conformi… non-Ariani, come Ebrei, Zingari o Slavi. Non conformi… Intellettuali, Filosofi, Dissidenti Politici e Liberi Pensatori non-allineati al “pensiero unico” del Nazi-Reich.
Il Dott. Hermann Pfannmueller, psichiatra e neurologo, fanatico nazista e sostenitore dell’”eugenetica razziale”, nonché direttore dell’istituto psichiatrico di Eglfing-Haar e superiore del Dott. F. Hoelzl, ideò una sua “dieta speciale” per i piccoli ricoverati. Il menù prevedeva razioni a base di cavoli, rape e patate lessati e sconditi, assolutamente privi di grassi – le porzioni venivano inoltre progressivamente ridotte, in modo da provocare l’indebolimento dei bambini, che scivolavano in uno stato di inedia estrema, incapaci non solo di protestare a gran voce per la fame, ma anche di piangere.
La morte sopraggiungeva nel giro di qualche settimana; per “aiutare” il processo e tenere tranquilli coloro che ancora avevano la forza di “creare problemi” (leggi: piangere disperatamente o chiedere cibo con troppa insistenza), i piccoli venivano trattati con morfina e farmaci anti-epilettici, che ne acceleravano la fine.
In mezzo a tanta disperazione e a tanta paura anche per se stessi e per la propria incolumità fisica (oltre che per la salvaguardia del proprio posto di lavoro…), tanti Medici – come già detto – opposero una forte resistenza passiva, ma ci fu anche qualcuno che, chiamato direttamente in causa, si schierò apertamente contro tale abominio.
Quando fu invitato dal Dott. Pfannmueller a prendere parte in maniera attiva all’“Euthanasie-Unternehmen” (=Programma Eutanasia),
il Dott. Friedrich Hoelzl rispose chiaramente:
“No! Io non ci sto!, piuttosto lascio il posto di lavoro!”.
Ecco la traduzione (di cui mi assumo ogni responsabilità) della lettera che il Dott. Bayle ha riportato in francese alle pagine 747 e 748 del suo “Croix Gammée contre Caducée”:
Il 20 agosto 1940, da Schwarzsee – vicino a Kitzbuehel (in Tirolo, Austria) – il Dottor F. Hoelzl, responsabile del servizio psichiatrico pediatrico a Eglfing-Haar (in Baviera, Germania), scrisse al suo direttore, il Dott. Pfanmueller per comunicargli che rifiutava di partecipare al programma di eutanasia.
(…) omissis (…)
‘Le sono riconoscente per avermi concesso il tempo per riflettere e per prendere una decisione. I nuovi provvedimenti sono talmente allettanti che pensavo di poter mettere da parte tutte le mie convinzioni personali.
Tuttavia, una cosa è approvare a titolo personale le misure disposte dallo Stato, altra cosa è metterle personalmente in pratica, fino alle loro estreme conseguenze.
Mi riferisco alla differenza che corre tra il giudice e il boia.
È per questo motivo che, malgrado tutta la mia comprensione e tutta la mia buona volontà, non posso ignorare il fatto che il mio temperamento non è adatto a questo tipo di lavoro. Benché in diverse occasioni io possa desiderare di accelerare il naturale decorso degli avvenimenti, provo altrettanta ripugnanza a mettere in pratica certi provvedimenti in maniera sistematica, a seguito d’una fredda decisione e di considerazioni scientifiche, senza alcun riguardo di tipo medico nei confronti dei pazienti.
Sono stato indotto a lavorare con i bambini non solo dall’interesse scientifico, che nel nostro lavoro è spesso sterile, ma anche dal bisogno del medico di essere d’aiuto o, quanto meno, di migliorare la situazione.
Per me, l’osservazione delle manifestazioni psicologiche, l’influenza delle cure e della pedagogia sono sempre stati molto più avvincenti delle stranezze anatomiche, per quanto interessanti (queste possano essere); va quindi da sé che, per quanto io sia in grado di mantenere intatta la mia obiettività nelle mie valutazioni, io mi sento affettivamente legato ai bambini quale loro “protettore medico”: penso anche che, dal punto di vista d’un medico nazional-socialista, un legame come quello da me mantenuto fino a ora non sia necessariamente una debolezza.
Se questa mia decisione La mettesse nella condizione di dover affidare ad altri il Servizio dei Bambini, la cosa costituirebbe per me una dolorosa perdita. Tuttavia, anziché deluderLa in un secondo momento, mi sembra più leale riconoscere subito che non sono sufficientemente duro per tale tipo d’incarico.
F. Hoelzl’
Nota manoscritta: ‘Ricevuto il 28 agosto 1940. Alle ore 16.00.
Pfannmueller
Questa vecchio libro, ingiallito dal tempo, ma decisamente poco (troppo poco!) consultato, mi ha – finalmente! – dato qualche risposta.
La Storia non dice quale sia stato il destino di questo coraggioso Dottore, ma,
ovunque Tu sia adesso,
GRAZIE, Dottor Friedrich Hoelzl!
Grazie. Per essere esistito e avere, almeno in parte, riscattato la nostra dignità di Medici!
La lettera del Dottor Hoelzl ripropone un’annosa questione: giustizia o legalità? Magari, ne riparleremo.
Per il momento, per chi volesse saperne di più, rimando a questo stupendo articolo, pubblicato da ASSIS qualche tempo fa.
Grazie dottoressa per aver voluto condividere questi fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale. Grande onore a questo dottore! Spero che tanti medici leggendo questo suo post trovino il coraggio di dire No a questo sistema che ormai ha poco o nulla a che fare con la salute delle persone ma che molto ha a che fare col dio denaro.
RICEVO DA “Massimo”, un carissimo Collega, e volentieri pubblico:
“Io non ci sto” l’ho detto esattamente dieci anni fa (luglio-agosto 2009) lasciando un posto fisso in ospedale, rinunciando a uno stipendio sicuro, tredicesima, ferie, malattia… (conosciamo la filastrocca), e non perché in età pensionabile -all’epoca avevo 52 anni e solo venti di servizio remunerato- ma perché si pretendeva che lavorassi secondo gli ordini di scuderia e non secondo conoscenza e coscienza (la mia). Superfluo stare a spiegare tra i tanti motivi che mi rendevano incompatibile con quell’ambiente, quale fosse uno dei principali 😉
Ora lavoro come libero professionista, “libero” di esprimermi e di agire come voglio, rispettando ancora di più il codice deontologico che secondo me si identifica innanzitutto nel consigliare al paziente ciò che è veramente suo interesse, e non interesse dell’azienda ospedaliera in cui si pretendeva che le mie visite non durassero più di un certo numero di minuti, e che accogliessi determinate patologie piuttosto che altre, per motivi di “cassa”…, e altro ancora…
E come nel riferimento di 80 anni fa, devo bilanciare anche il clamore che può derivare dalle mie azioni, per evitare di essere decapitato (più o meno metaforicamente), e non per paura, ma perché se facessi l’eroe ingenuo e suicida, non sarei più utile a nessuno.
Caro Massimo,
che dirti? AVANTI TUTTA! sempar verbut!
Leggo dalla terza media (merito o colpa della prof di lettere!) sui campi di concentramento, annessi e connessi. Questa è una domanda che mi pongo ogni volta. E non so capire le risposte che ho letto. Per fortuna c’è stato chi ha avuto coraggio, perché di coraggio si tratta. Grazie per condividere tutto questo! Un caro saluto! Martina