Dalla mia CassaPanca del Tempo è uscita la fotocopia della pagina di un libro-documento degli Anni Sessanta: è la fotocopia della parte finale della prefazione al libro “I Medici Maledetti”*. Ricordo perfettamente la persona cui è legata questa fotocopia.
Padova, martedì 8 febbraio 1983. Mentre le luci dei lampioni si sostituiscono agli ultimi raggi del radioso sole di febbraio, la Studentessa cammina piano lungo le vie del centro cittadino.
Lontana da casa, abita in un collegio universitario tenuto dalle suore e segue le lezioni del 1° anno di Medicina: la giornata è stata davvero pesante e, prima di rientrare, decide di fare una passeggiata per guardare un po’ di vetrine e prendere un cappuccino al baretto del Sottopasso della Stua.
Ammira i colori e la sapiente distribuzione degli oggetti negli spazi espositivi: osserva ogni cosa, ma la sua attenzione è attirata soprattutto dalle vetrine delle librerie. I Libri! Messaggeri di idee e di cultura, ponti fisici tra il Passato e il Futuro, ponti che gli uomini del Presente possono ben percorrere limitandosi a leggere ciò che Altri hanno scritto…
Quanti ne compra! A casa, ha già una discreta biblioteca personale… I Libri, una tentazione irresistibile!
… e infatti, anche oggi entra in una delle tante, piccole, librerie cittadine, che vendono e svendono libri, posters e cartoline.
Tra i tanti titoli proposti, ne nota uno: “I Medici Maledetti – esperimenti medici condotti su uomini nei campi di concentramento”, traduzione del “Les Médecins Maudits” di Christian Bernadac, libro di cui le ha parlato la sua Professoressa di Storia e Filosofia qualche anno prima.
Un rapido conto… costa 5500 lire, poco più dell’equivalente di 4 pasti alla mensa universitaria. Mmm, magari…niente cappuccino per oggi…Affare fatto! Trova un posticino nella sacca già pesante e il libro va ad aggiungersi ai blocchi con gli appunti della giornata, Fisica, Chimica, Istologia, Anatomia e Biologia.
Incerta tra Medicina e Storia, la Studentessa ha optato per la prima, ma l’amore per il Passato e per lo studio del Passato le è rimasto; fin da piccola, la Mamma le ha raccontato le “Storie della Guerra”, insistendo sulla deportazione e lo sterminio degli Ebrei e lei ha letto tutto ciò che ha trovato sull’argomento. Da “La Casa delle Bambole” di Ka-Tzetnik 135633 a “Diario Clandestino” di Giovannino Guareschi, passando per “Diario di Gusen” di Aldo Carpi e per la rilettura del “Diario” di Anna Frank.
Acquistati o presi a prestito in biblioteca, sono comunque rimasti scolpiti nella sua memoria.
…e ora questo, “I Medici Maledetti”. Rientrata al collegio universitario, la Studentessa inizia a leggere il libro, dominando sia le lacrime sia la rabbia che il libro le suscita. Lettrice veloce e vorace, è abituata a divorare i testi, ma stavolta si sforza di leggere lentamente: questi orrori devono essere ricordati soprattutto da coloro che non li hanno vissuti, perché solamente ricordandoli si potrà impedire che si ripetano.
Una pagina via l’altra, un’immagine mentale via l’altra, un orrore via l’altro…
La Studentessa studia e sogna di poter un giorno essere d’aiuto ai propri simili, e ora, scorrendo le tremende pagine del libro, le sembra incredibile, inaudito – semplicemente non-possibile! – che altre Persone, dei Medici!, possano avere usato le proprie competenze non per dare sollievo ma per torturare, mutilare, umiliare e massacrare altri Esseri Umani.
Sulla sveglia gialla le lancette girano veloci mentre, al di là dei vetri della finestra, la notte cede lentamente il posto all’alba.
Arrivata all’ultima pagina, con gli occhi pieni delle immagini suscitate dalle parole di Bernadac, la Studentessa consulta il suo orologino da polso: è ora di prepararsi per uscire e andare a lezione. Non c’è più tempo per dormire, non stanotte.
Una doccia bollente, per scacciare la stanchezza e cercare di vincere il freddo glaciale che le attanaglia l’anima.
Un caffè e un panino: il minimo, dopo la lettura di tanta disumana follia.
E mentre la caffettiera borbotta e il profumo del caffè si spande nell’aria, la Studentessa rilegge le parole di François Bayle – generale medico francese ed esperto presso il Tribunale di Norimberga – parole riportate da Christian Bernadac nella “Prefazione” al suo libro:
“Basta che si ritrovi, nel mondo, un tiranno simile, piccolo o grande, che riesca a rendere fanatici i giovani con una ideologia altrettanto ‘idealista’, falsa e inumana da estirpare dalla mente dei suoi sostenitori ogni nozione religiosa (e morale), e il peggio rinascerà. I medici violeranno ancora la coscienza umana con pretesti scientifici e utilitaristici. Si architetteranno delle mostruose ricerche, le stesse che non hanno raggiunto un fine in Germania, ma che saranno tentate altrove; lo Stato onnipotente se ne assumerà la responsabilità e tutto ricomincerà.”.
Le rilegge ancora, pensando a quell’Ippocrate lontano, perso nell’Antichità, che le hanno insegnato essere “il Padre della Medicina” e che, sicuramente, non avrebbe considerato “Discepoli” e, men che meno!, “Confratelli” i responsabili di simili mostruosità.
Le rilegge ancora, ancora una volta, e fa un giuramento a se stessa, all’alba che sta sorgendo, al Dio che ha permesso tutto questo:
“Se mai una Nuova Norimberga si renderà necessaria, IO non siederò sulla panca degli imputati, di coloro che saranno accusati d’aver preso parte a un nuovo massacro, di coloro che si difenderanno sostenendo d’avere ‘solamente obbedito agli ordini’. Non mi renderò mai colpevole di simili atrocità. Costi quel che costi.”.
Alea iacta esto! – Il dado sia tratto!
* Christian Bernadac, “I MediciMaledetti”. Edizioni Accademia – Milano 1973, II Edizione 1979. Pag. 10.
Immagine in evidenza, foto di Giota Sakellariou in Pexels.
Carissima dottoressa questa volta la cassa panca porta con sé un bagaglio di dolore e le scrivo il mio pensiero quello che sto provando a me viene in mente che quel libro mai come ora è più attuale,ormai si antepone il Dio denaro , interessi personali ,in nome della scienza a quello che la studentessa universitaria mi sento di dirle con tutto il cuore GRAZIE DI ESISTERE .????
Grazie, Maria Rosa!
Lei Dottoressa può portare con onore e testa alta il titolo di Medico… quanto scritto dovrebbe essere urlato al mondo perchè anche tutti gli altri che esercitano la professione possano riflettere e si possano vergognare di quanto stanno facendo!
Grazie, Marzia!
Studentessa è ancora in giro. Ancora “rotola per le strade del mondo”: le farò pervenire il messaggio.
Se permetteremo al Tempo di affievolire i ricordi, se gli consentiremo di smangiarsi i contorni delle fotografie, di depositare la polvere dell’oblio sul “ciò che è stato”, le spirali della Storia torneranno ad avvolgersi su se stesse, e l’orrore potrà ricominciare.
Questi sono i “Giorni della Memoria”. Cerchiamo di ricordare. Sempre. TUTTI i giorni dell’Anno.
alea iacta est.
NO, SIGNORA CORINNA, SI SBAGLIA! legga più sotto.
Gentile Signora Corinna,
pur essendo molto spiacente di doverLa contraddire, La ringrazio per questo Suo commento, che mi consente di parlare di un (verosimile) errore di traduzione che ci accompagna da quasi duemila anni.
La frase è proprio ALEA IACTA ESTO, con l’imperativo – e io ci metterei pure un punto esclamativo.
Nell’opera “Vite parallele”, parlando di Cesare fermo al Rubicone, Plutarco scrisse: “anerrifzho kubos”, imperativo del perfetto del verbo “anarripto”.
(Mi scuso per la trascrizione in lettere latine, ma il sistema non supporta le lettere greche)
Traducendo il brano, Svetonio scrisse “alea iacta est(o)”.
Non è chiaro se Svetonio abbia scritto “est” oppure “esto” (imperativo): qualcuno sostiene che la traduzione abbia, nel tempo, perso la “o” finale.
Personalmente, preferisco la versione “alea iacta esto!”: qui, infatti, la parola assume un significato più forte, che implica la “volontà di gettare il dado” più che l'”accettazione di un evento, di un fatto ormai stabilito”.
Nella versione di Svetonio, infatti, Cesare sembra accettare il proprio destino, spinto – oltre tutto – dall’apparizione di un misterioso personaggio che oltrepassa il fiume dando il segnale con la tromba.
Nella versione di Plutarco, invece, il protagonista della storia è Cesare e la decisione di “passare il Rubicone” è presa da Cesare stesso.
Conoscendo la ventenne Studentessa protagonista del racconto, posso garantirLe, gentile Signora Corinna, che non avrebbe mai “accettato” un destino deciso da altri, ma avrebbe fatto il possibile e l’impossibile pur di essere “protagonista” della propria storia.
Quindi, cara Signora Corinna:
ALEA IACTA ESTO! – IL DADO SIA TRATTO!
Ls ringrazio per la puntuale precisazione, in effetti le reminiscenze liceali e la vulgata portano sempre alla formula senza la “o”; la ringrazio per avermi fatto imparare qualcosa di nuovo, anche alla mia età!
🙂